La catechesi e le persone con disabilità

“...continuare fino a che ogni persona con handicap non avrà incontrato una comunità dove -senza essere specialisti ma semplicemente cristiani – si impari a scoprire e a vivere insieme la straordinaria Buona Novella di Gesù”. Jean Vanier

Sono trascorsi pochi giorni da quando in Vaticano si sono riunite circa 450 persone da tutto il mondo, in un Convegno Internazionale sulla catechesi e le persone con disabilità e la voce del papa risuona ancora molto forte nel cuore di tutta la Chiesa.
Conosciamo il grande sviluppo che nel corso degli ultimi decenni si è avuto nei confronti della disabilità. La crescita nella consapevolezza della dignità di ogni persona, soprattutto di quelle più deboli, ha portato ad assumere posizioni coraggiose per l’inclusione di quanti vivono con diverse forme di handicap, perché nessuno si senta straniero in casa propria. Eppure, a livello culturale permangono ancora espressioni che ledono la dignità di queste persone per il prevalere di una falsa concezione della vita. Una visione spesso narcisistica e utilitaristica porta, purtroppo, non pochi a considerare come marginali le persone con disabilità, senza cogliere in esse la multiforme ricchezza umana e spirituale. La catechesi, continua il papa, in modo particolare, è chiamata a scoprire e sperimentare forme coerenti perché ogni persona, con i suoi doni, i suoi limiti e le sue disabilità, anche gravi, possa incontrare nel suo cammino Gesù e abbandonarsi a Lui con fede. Nessun limite fisico e psichico potrà mai essere un impedimento a questo incontro, perché il volto di Cristo risplende nell’intimo di ogni persona. Inoltre stiamo attenti, specialmente noi ministri della grazia di Cristo, a non cadere nell’errore neo-pelagiano di non riconoscere l’esigenza della forza della grazia che viene dai Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Impariamo a superare il disagio e la paura che a volte si possono provare nei confronti delle persone con disabilità. Impariamo a cercare e anche a “inventare” con intelligenza strumenti adeguati perché a nessuno manchi il sostegno della grazia. Negli orientamenti e proposte dell’Ufficio Catechistico Nazionale – “L’INIZIAZIONE CRISTIANA ALLE PERSONE DISABILI” (2004) si afferma: «C’è una ragione che fonda il diritto-dovere dei fedeli disabili a ricevere e celebrare i sacramenti, ed è insita nello spirito stesso della liturgia, che è essenzialmente relazione comunicazione tra Dio e il suo popolo santo e all’interno del popolo stesso, reso “uno” dallo stesso battesimo e dallo stesso Spirito. Per questa delicata situazione bisognerà evitare due estremi: da una parte chiedere al disabile di raggiungere un livello di consapevolezza uguale a quello di ogni altro battezzato; dall’altra presumere in partenza che non è possibile alcuna preparazione. Tenendo presente che non si dà solo una consapevolezza “razionale”, si dovrà offrire ai disabili mentali la possibilità di “percepire, secondo le loro capacità, il mistero di Cristo” (can 913,1)[1]. Occorre anche ricordare che è difficile valutare con certezza assoluta il grado di attività psichica o mentale; del resto non sappiamo quali possibilità di comunicazione sono nascoste in psicologie che possono sembrare gravemente compromesse o apparentemente inerti. In secondo luogo è ancora più difficile e praticamente impossibile “misurare” le interiori disposizioni spirituali di un disabile mentale: resta sempre un mistero, che supera la nostra comprensione, il dialogo che la grazia di Cristo sa attuare con questi fratelli, che sembrano incapaci di dialogo tra gli uomini. Ai ministri[2] si chiede per tanto di non far mancare nella comunità le parole e soprattutto i gesti per incontrare e accogliere le persone con disabilità. Specialmente la Liturgia domenicale dovrà saperle includere, perché l’incontro con il Signore Risorto e con la stessa comunità possa essere sorgente di speranza e di coraggio nel cammino non facile della vita[3].
Formiamo – prima di tutto con l’esempio! – catechisti sempre più capaci di accompagnare queste persone perché crescano nella fede e diano il loro apporto genuino e originale alla vita della Chiesa.
Lo stesso documento del (2004) dichiara: «La coscienza della Chiesa matura oggi il convincimento che la cura pastorale delle persone disabili non può essere delegata solo ad alcuni. La comunità nel suo insieme dà voce a chi non ce l´ha, sa ascoltare chi non sente, solleva chi è caduto, sostiene chi è debole. E’ giunto il tempo per la comunità parrocchiale di riflettere sul significato ecclesiale della “presenza” delle persone disabili per accoglierle nel suo seno, per dar vita ad una sua “naturale” completezza: non si tratta solo di riconoscimento dei loro diritti di credenti; è soprattutto un bene per ogni credente che fa superare il solo momento liturgico o catechistico o sacramentale, fino a farsi carico della persona disabile nella globalità dei suoi bisogni umani e religiosi… In continuità con la cura materna espressa dalla Chiesa e mentre si riflette sul necessario “ripensamento” della pastorale della Iniziazione Cristiana, si vuole nuovamente sottolineare che i disabili sono nel cuore e al centro della Chiesa. L’attenzione si rivolge verso coloro che si trovano a vivere in situazioni di handicap, da considerare membri a pieno titolo della Chiesa, cioè soggetti non passivi all’interno della comunità cristiana, ma testimoni di fede ed annunciatori essi stessi del messaggio evangelico. E’ un invito a non lasciare sole le persone disabili, ad essere loro vicine e a creare un clima nel quale tutti senza eccezione possano sentirsi a casa loro: in chiesa, nelle feste della comunità, nella preparazione e nella celebrazione dei sacramenti, in specie dell’Iniziazione Cristiana. Il “giorno del Signore” potrà così manifestare la variegata ricchezza e la presenza “in festa” di tutti i credenti in Cristo». In conclusione bisogna riconoscere che i sacramenti sono segni dell´amore di Dio che ama sempre la sua creatura, prima ancora che questa possa riamarlo, anzi anche quando questa di fatto non lo ama. Il suo amore poi è orientato particolarmente a chi è più povero, più debole, più emarginato, e suscita il segno dell´amore nella Chiesa, che si fa rivelazione dell´amore del Padre con gesti concreti, chiaramente profetici. Perciò la Chiesa fa del servizio a questi un impegno sacramentale. Si potrebbe dire paradossalmente che proprio essi sono chiamati ai sacramenti prima degli altri. E´ vero che questi segni della misericordia di Dio e dell´amore di Cristo non vanno mai dati “a cuore leggero”, ma sempre nella fede di una comunità e quindi nella fede che aiuta la famiglia, soprattutto nei casi di presenza di disabili. Ma quando un bambino disabile è battezzato, non si vedono ragioni perché in seguito non possa e non debba ricevere questi segni della misericordia, accompagnati dal coinvolgimento della comunità e della famiglia.


[1] Molti disabili mentali, infatti, come i bambini piccoli, possono intuire la dimensione religiosa senza essere abili alla concettualizzazione. L’intuizione è in grado quindi di ampliare la ragione e sviluppare una vita di preghiera e un discernimento del sacramento che non è capace di esprimersi forse con parole ma con gesti e atteggiamenti, con un linguaggio comprensibile da chi gli sta più vicino, in modo particolare dalla famiglia; un linguaggio magari non abituale ma senza dubbio autentico.
[2] anche il codice di diritto canonico si esprime in questa direzione: cfr. can 777 §4: il parroco deve curare che «l’istruzione catechetica si trasmessa anche a quelli che sono impediti nella mente o nel corpo, per quanto lo permette la loro condizione»
[3] “INCONTRIAMO GESU’” – capitolo III° – al n. 56 tratta le “Attenzioni particolari” e ciò che mi preme sottolineare è che “Tutti i cristiani, in virtù del Battesimo ricevuto, sono testimoni e annunciatori della fede nella vita quotidiana sia pure nei momenti di difficoltà e nonostante le limitazioni fisiche, intellettive e sensoriali. Va rafforzata e diffusa la cura di percorsi catechistici inclusivi per persone che presentano disabilità fisiche, psichiche e sensoriali, assicurando nel contempo che possano realmente partecipare alla liturgia domenicale e testimoniare, attraverso la loro condizione, il dono e la gioia della fede e l’appartenenza piena alla comunità cristiana.”
  

 

di don Salvatore ABAGNALE